Qualche giorno fa mi sono imbattuto in questo bellissimo video che illustra come debba essere spiegato ad un paziente il dolore che prova e come affrontarlo.
Non è questo lo spazio dove poter approfondire il concetto di dolore perchè richiederebbe ben più di un articolo e non sarebbe comunque esaustivo. Quello che mi interessa far passare è che il dolore così come lo percepiamo è il frutto dell’elaborazione del nostro cervello che interpreta particolari stimoli e segnali provenienti dal corpo e li trasforma in quello che noi chiamiamo dolore.
Quando si parla di dolore cronico la situazione si complica molto perchè non è più solo il tessuto leso, il territorio disfunzionale, ad essere la causa del nostro malessere. Ciò che noi avvertiamo è la sommatoria di numerosi meccanismi che trasformano il nostro modo di percepire il sintomo e ci rendono molto più suscettibili e, a volte, anche in assenza di un vero e proprio stimolo doloroso.
Sapere dell’esistenza di questo fenomeno è indispensabile nella gestione della terapia affinché si comprendano possibilità e limiti, e che la strategia va ben oltre il trattamento manuale e che coinvolge il paziente anche nelle sue abitudini e attività.
Questa consapevolezza è in grado di cambiare il nostro rapporto con il dolore e, a volte, anche di ridimensionarlo.
Ma di cosa stiamo parlando?
Il dolore può essere acuto o cronico, cioè se persiste da più di tre mesi (qualche anno fa il limite erano 6 mesi).
Lo stato di cronicità è caratterizzato da un fenomeno che coinvolge il tessuto nervoso sia a livello centrale che periferico conosciuto come sensibilizzazione o sensitizzazione.
La sensitizzazione è un aumento della trasmissione sinaptica (cioè tra neuroni) a seguito di una stimolazione (e che sia dolorosa, vedremo, non è sempre necessario).
Questo significa che benché lo stimolo sia più basso si percepirà ugualmente del dolore o, allo stesso modo, a parità di stimolo ricevuto il dolore percepito sarà maggiore.
Come avviene questa trasformazione?
Il meccanismo è piuttosto complesso (se vuoi approfondire lascerò in calce alcuni riferimenti) ma diciamo che coinvolge sia i tessuti in periferia (si parla di sensitizzazione periferica) sia il sistema nervoso centrale (sensitizzazione centrale).
Nel primo caso avviene che, a seguito di stimolazione ripetuta nel tempo, vengono prodotte sostanze che alterano la capacità di trasmissione e si abbassa la soglia di attivazione oltre la quale lo stimolo scatena la cascata di eventi che fa arrivare il segnale al midollo e poi al cervello .
Il ruolo di questo fenomeno sembra essere quello di proteggerci da ulteriori danni, l’area diventa più sensibile tanto da creare la carattaristica condizione di iperalgesia (sento moltissimo dolore anche con uno stimolo bassa) o di allodinia (dolore percepito a seguito di uno stimolo non doloroso, sfioramento per esempio).
A livello centrale vengono coinvolte il midollo e alcune aree del cervello. Il fenomeno si manifesta come una perdita di modulazione sugli stimoli in ingresso (inibizione discendente) ma anche di anticipazione (legata alla memoria del dolore appresa) e di propagazione del dolore (Wind-up). Quest’ultimo fenomeno ci spiega alcuni fenomeni come la sensazione di dolore in aree non soggette a stimolo ma che hanno una certa relazione con la zona dolente o stimolata (nelle mappe del Sistema nervoso centrale).
La sensitizzazione rappresenta quindi un cambiamento funzionale e strutturale del circuito che gestisce e raccoglie le informazioni che arrivano dai recettori del dolore.
Non vale la pena approfondire qui come il segnale venga poi tradotto in dolore: sono molti gli studi a riguardo e non c’è ancora una interpretazione univoca e certa su come ogni soggetto possa “sentire” il dolore. Resta evidente che non è un rapporto lineare tra quantità di stimolo e risposta dell’organismo ma piuttosto un complesso bilancio tra emozioni, ricordi, stress, esperienza, aspettative, credenze ecc.
Sono tante le implicazioni che queste osservazioni danno perchè cambia la prospettiva con cui si studia e si tratta il paziente: un dolore di questo tipo non avrà più una singola causa organica e sarà quindi pressoché inutile cercare tessuti alterati con mille esami diagnostici (vedasi ernie discali). Nella maggior parte dei casi si troveranno segni non specifici e assolutamente non correlabili alla sintomatologia e, nella peggiore delle ipotesi, verranno trattati con estrema precisione, senza alcun risultato evidente.
Vale quindi sempre di più il consiglio di osservare il quadro generale e non solo il sintomo e impostare un trattamento il più articolato e multidisciplinare possibile.
Se vuoi approfondire ulteriormente ecco il link di un bel lavoro fatto da un mio collega (ti rimando al suo sito) e un articolo molto interessante (ma anche molto tecnico!) a cura di Giandomenico D’Alessandro, Francesco Cerritelli, Pietro Cortelli.
Sensibilizzazione centrale e dolore cronico (Michele Chiesa)
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